Cercasi standard per Keywords

Su Keywording CentralKevin Townsend fa il punto su un problema fondamentale della catalogazione delle immagini: la mancanza di uno standard unico per le parole chiave (keywords) nella catalogazione delle immagini. Il post non è recente (2009), ma è ancora attuale. Townsend fa risalire questa carenza al fatto che il keywording è una disciplina fai-da-te. Gli standard esistenti rispondono alle esigenze particolari di specifici archivi di immagini, invece di essere parte di un unico sistema condiviso.

Il risultato è che ci sono alcuni standard favoriti (in particolare il cosiddetto standard Getty), ma ne esistono molti altri con regole diverse e vocabolari controllati diversi, o anche senza nessun vocabolario controllato.

Anche se lo standard Getty è raccomandabile per molti aspetti – soprattutto per il rilievo che dà alla necessità di includere solo le parole più pertinenti – seguire il suo vocabolario controllato significa a volte usare al posto di parole di uso comune dei termini un po’ strani, che difficilmente verranno usati intuitivamente nella ricerca. Nel post si fa l”esempio di human hand al posto del più semplice hand e di full suit invece di suit (jacket and pants).

Oltre a Getty, esistono molti altri standard, come quelli di Alamy e Corbis. La cosa fastidiosa – dice Townsend – è che le differenze tra questi standard sono più spesso stilistiche che sostanziali. Per esempio le età e i gruppi etnici sono spesso indicate con termini differenti che significano la stessa cosa, ma che non vengono usati dalle altre aziende. Inoltre alcuni standard prevedono un unico campo per le keywords, altri standard ne prevedono invece più di uno. E questo complica ancora di più le cose.

Un osservatore cinico – aggiunge Townsend – potrebbe pensare che questo è un tentativo da parte delle agenzie che hanno gli archivi più grossi per rendere difficile e costoso ai concorrenti rimettere le keywords con standard differenti, nel caso le immagini venissero offerte loro. Ma più probabilmente è semplicemente il caso della mancanza di un insieme di norme, della progressiva ascesa e caduta di diversi attori del mercato, ognuno con la sua particolare idea di keywording.

In questa mancanza di un riferimento unico, prevalgono due tendenze opposte: quella di chi è convinto che meno è meglio (ad esempio Getty) e quella di chi crede invece che sia meglio abbondare. Così la stessa serie di keywords può essere ritenuta inadeguata perché comprende troppe parole incluse quelle non rilevanti, oppure al contrario perché non comprende qualsiasi parola possa essere associata all’immagine.

Anche se Townsend non lo dice, per esperienza è più opportuna la prima via, quella del meno è meglio. In ogni caso, secondo Townsend il modo più semplice per considerare uno standard è fissare una serie di regole fuori da questi limiti del come si debba fare keywording. Queste regole devono comprendere degli imperativi come:

  • non usare plurali (questo  in realtà è un punto controverso, di fatto le grandi agenzie li usano)
  • usare esclusivamente la forma in -ing per i verbi
  • usare un vocabolario controllato, ogni parola non compresa nel vocabolario non è permessa

Townsend sottolinea però anche il problema fondamentale del vocabolario controllato: la lingua si evolve e cambia continuamente. E non si tratta soltanto di slang o di nomi comuni, ma anche di nomi di persone, di luoghi, di prodotti e altri nomi propri.

Alcune aziende che si occupano di keywording – spiega Townsend – mettono uno zelo a volte quasi religioso nello stabilire quali siano i termini principali, e quali i loro sinonimi, quando in realtà questa decisione è del tutto arbitraria. Pants e trousers sono sinonimi l’uno dell’altro e non si può stabilire quale sia il termine principale tra i due. Townsend raccomanda di diffidare di chi parla in questo modo di sinonimi e soprattutto di fare attenzione alle aziende o ai professionisti che si occupano di keywording che dicono di attenersi allo standard del settore, perché non esiste un unico standard.

Come riconoscere allora la professionalità di un”azienda di keywording? Townsend suggerisce di:

  • chiedere se usano lo standard del settore (un’azienda seria vi dirà che non esiste)
  • chiedere che metodo hanno con il linguaggio che si evolve
  • valutare quanto sono disponibili ad adeguarsi allo stile che volete; più lo sono, più è probabile che soddisferanno le vostre esigenze
  • chiedere se hanno elaborato un proprio vocabolario controllato
  • chiedere se hanno sviluppato un proprio standard

Fonte: Kevin Townsend,  Keywording Standards: Nobody Knowns, Keywording Central


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